Premessa
La mia abitudine di fare una corsettina mattutina si rivela spesso un interessante incubatore di idee: tra una salita e una discesa lascio correre anche i pensieri e – forse per le endorfine prodotte dalla corsa – questi convergono in una forma logica che, in qualche caso (ed a costo di apparire tedioso), vale la pena di condividere.
Questa mattina, mentre correvo, pensavo ad una e-mail da spedire al mio amico Christopher: avevo una risposta da fornirgli in merito ad una possibile collaborazione e mi è venuto in mente di iniziare scherzosamente la lettera con “dear Christ bearer…” giocando con l’etimo del suo nome e che deriva dal greco “Christos” e “fero” dove il verbo fero (identico al latino peraltro) significa portatore.
Mi son subito congratulato con me stesso: i cinque anni spesi al classico, studiando latino e greco, a qualche cosa sono serviti, mi sono detto.
Superata questa fase di deprecabile autocompiacimento, mi sono chiesto quali altri benefici lo studio delle lettere classiche abbia potuto portare ad un modesto studente come me.
Il più importante beneficio, almeno per quanto mi riguarda, è stato certamente l’aver affinato una buona attitudine a “imparare” attraverso la lettura e l’analisi di un testo.
Le ore e ore passate a imparare a memoria le eccezioni nelle coniugazioni dei verbi in greco antico, oppure la frustrante decifrazione delle chilometriche frasi di Cicerone, fanno germogliare nel giovane studente l’arte della perseveranza ed aiutano a farne crescere la stima nelle proprie capacità di apprendimento.
Con quanto sopra, non voglio certo sostenere che la capacità di apprendimento sia una prerogativa degli studenti del liceo classico! Ci sono, certamente, altre vie – e non solamente negli indirizzi di studio – attraverso le quali un individuo diventa bravo nella assimilazione di nuove tecniche e metodologie.
Qualunque sia la genesi dell’attitudine ad apprendere, questa capacità risulta particolarmente importante in tutti quei contesti soggetti a dinamiche di cambiamento.
Il Cambiamento e l’Innovazione implicano la necessità di apprendere
L’innovazione, sia essa tecnologica che di processa, necessita che i soggetti coinvolti escano dalla loro “comfort zone”, dalla routine e che si confrontino con il nuovo, con lo sconosciuto e che, quindi, imparino delle tecniche nuove e assumano dei comportamenti inesplorati prima.
Solitamente le aziende che introducono delle innovazioni sono sufficientemente preparate ad addestrare i propri dipendenti nell’utilizzo delle nuove tecnologie e nel gestire i nuovi processi, tuttavia l’efficacia dei programmi di addestramento non è assicurata a causa della cosiddetta “resistenza al cambiamento”.
Tale resistenza si manifesta per molteplici motivi, ma uno dei più importanti – il che ci riporta la tema dello studio delle lettere classiche – è, a mio parere, la mancanza di capacità di apprendere, o, meglio, la carenza di autostima che porta certi individui ad abbandonare la sfida dettata dalle nuove condizioni di lavoro.
Questo aspetto della “paura” di molti dipendenti di non essere adeguati alla richiesta di nuove conoscenze non è, a mio parere, sufficientemente tenuto in considerazione in molte aziende durante la pianificazione dell’innovazione.
Al contrario, molti manager tendono a dare alla resistenza al cambiamento una connotazione malevola, imputandola molto spesso alla pigrizia o alla volontà di contrapposizione del lavoratore: questo non è un approccio corretto e sarà la fonte del probabile insuccesso dell’iniziativa di cambiamento promulgata dall’azienda.
Azioni e reazioni
Come reagire o, meglio, come prevenire il problema della resistenza al cambiamento?
Scartando subito l’ipotesi di sottoporre i propri collaboratori ad un corso accelerato di latino e greco, il buon manager che debba introdurre una qualche innovazione deve porsi l’obiettivo di togliere lo stress, sdrammatizzare, dal campo di gioco.
Per sdrammatizzare, cioè trasformare il doloroso processo del cambiamento in una esperienza gratificante e, perché no, piacevole, abbiamo a disposizione diverse armi che possiamo distinguere in due categorie: la filosofia Lean e la tecnologia.
La filosofia LEAN applicata alla gestione del cambiamento: il Lean Change Management
Il termine LEAN – cioè snello – è diventato oramai uno standard nelle filosofie di gestione aziendale.
Senza volere entrare nei dettagli, uno dei pilastri della filosofia LEAN è il “KAIZEN” il cui significato è “cambiare per il meglio”.
KaiZen è un concetto che a me piace molto: sottintende infatti che il cambiamento non è un bene di per sé, ma distingue un cambiamento “buono” da uno cattivo. Quante volte ci è capitato di vedere introdotte tecnologie inutili o riorganizzazioni aziendali che hanno prodotto peggioramenti, della serie il rimedio è peggio del male?
KaiZen richiede perciò un esame rigoroso delle motivazioni del cambiamento e una valutazione puntuale dei benefici che si vogliono introdurre.
I pilastri del KaiZen sono i seguenti:
- Lavoro di squadra
- Disciplina
- Morale
- Circoli di Qualità
- Suggerimenti per il miglioramento
Aldilà del dettaglio, possiamo notare come tutti i punti citati siano riconducibili ad un unico concetto: Coinvolgimento del dipendente nel processo di cambiamento!
Il coinvolgimento dei lavoratori, comporta diversi benefici che creano un effetto volano sulle forze positive al cambiamento, è quello che gli inglesi chiamano “confidence build up”:
- Incremento della motivazione
- Discussione e chiarimento dei dubbi – trasparenza del “perché” e del “come”
- Acquisizione di elementi di feedback – maggiore robustezza dell’innovazione proposta
La tecnologia
Solitamente le tecnologie sono viste come un amplificatore dello stress da cambiamento, dovendo, esse stesse, essere “imparate” dall’utilizzatore.
Nel caso della Realtà Aumentata (AR) abbiamo invece una tecnologia “amica”, che può rappresentare un formidabile aiuto per il lavoratore che debba acquisire nuove conoscenze in maniera rapida ed “error free”.
La realtà aumentata – o “augmented reality” – consiste in un campo addizionale di informazioni che si sovrappone al campo visivo del soggetto.
Questo “layer” aggiuntivo di informazioni viene veicolato attraverso degli “smart glasses” – occhiali intelligenti – oppure attraverso lo schermo di un dispositivo portatile, come il telefonino o il tablet.
Che cosa possiamo trasmettere attraverso la realtà aumentata?
Nel caso in esame, e cioè quello dell’innovazione, possiamo trasmettere le istruzioni per l’uso delle nuove macchine; le istruzioni per compilare nuovi formati in un processo industriale o amministrativo; la guida operativa all’utilizzo di nuovi programmi informatici (si pensi al sistema di prenotazioni di una compagnia aerea oppure al sistema di contabilità di una qualunque azienda); il flusso di approvazione di una processo di vendita…..insomma, il ventaglio di applicazioni è realmente vasto.
Un’altra interessante applicazione della realtà aumentata, che si sposa molto bene con l’aspetto di apprendimento che abbiamo prima rappresentato, è il cosiddetto “tutorial”, cioè un video nel quale un esperto illustra le procedure di utilizzo della nuova tecnologia.
Questa rappresentazione visiva può sostituire sia la didattica in presenza, sia il manuale di istruzioni di uso (alzi la mano chi spontaneamente si mette a leggere i manuali senza addormentarsi…).
Conclusioni
La rilevanza strategica di una corretta gestione del cambiamento non è di certo una novità, tuttavia è chiaro a tutti che le aziende, le organizzazioni, le comunità assistono ad una accelerazione dell’esigenza di affrontare in maniera nuova i bisogni di una società che si evolve sempre più velocemente.
Come abbiamo visto, accanto a questo quadro sempre più complicato di evoluzione e innovazione, i manager hanno a disposizione anche nuove tecniche/tecnologie che possono, se correttamente implementate, rappresentare una notevole facilitazione nel processo di miglioramento che le loro organizzazioni hanno intrapreso.